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mercoledì 20 giugno 2012

Ventinove anni fa l’arresto di Enzo Tortora

Articolo di Valter Vecellio Tratto da Notizie radicali
 
20-06-2012
 
Ventinove anni fa la magistratura e il giornalismo italiano scrivevano una delle pagine più vergognose e ignobili della loro storia, che in fatto di vergogne e comportamenti ignobili è pure ricca. Ventinove anni fa, all’alba, veniva arrestato Enzo Tortora.

Quando i carabinieri, su ordine della magistratura napoletana, lo arrestano, Tortora è al culmine della sua carriera televisiva. Un arresto annunciato. Già nel pomeriggio circolano voci di una grande retata, si parla di vip implicati in giri di droga e camorra, non si fa esplicitamente il nome, si suggerisce di pensare alle ultime lettere dell’alfabeto. Qualcuno telefona a Tortora, gli chiede se sa qualcosa. Lui si mette a ridere. Poi va a dormire in albergo a Roma. Viene svegliato all’alba dai carabinieri. Non è uno scherzo. Lo portano nella caserma di via in Selci. E da lì in carcere, ma in tarda mattinata, solo dopo che tutti i giornalisti sono stati debitamente avvertiti e possono riprenderlo con i gavettoni ai polsi, mentre viene condotto in carcere a Regina Coeli. Il mostro è servito.

Contro Tortora accuse infamanti: affiliazione alla camorra, spaccio di cocaina. “Cinico mercante di morte”, lo definisce il Pubblico Ministero Diego Marmo. Il nome di Tortora viene fatto, per la prima volta, da Giovanni Pandico, un camorrista schizofrenico sedicente braccio destro di Raffaele Cutolo, capo della Nuova Camorra Organizzata. Lo ascoltano diciotto volte Pandico, e solo al quinto interrogatorio si ricorda che Tortora è un camorrista. Poi è la volta di Pasquale Barra, detto ‘o nimale, in carcere ha ucciso il gangster Francis Turatello e ne mangiato gli intestini. Con le loro dichiarazioni, Pandico e Barra danno il via a una valanga di altre accuse da parte di altri quindici sedicenti pentiti, che, curiosamente, si ricordano di Tortora camorrista solo dopo che la notizia del suo arresto è stata diffusa da televisioni e giornali. Quello che pomposamente venne definito “il venerdì nero della camorra”, si traduce in 850 mandati di cattura, ma presto si sgonfia: sono decine le omonimie e gli errori di persona. Nel solo processo di primo grado le persone assolte sono ben 104.

Tortora è accusato di tutto: di essersi appropriato di fondi raccolti per i terremotati dell’Irpinia; di essere diventato spacciatore di cocaina dopo esserne diventato consumatore; di essere consumatore di cocaina per lenire i postumi di un’operazione. In primo grado è condannato: dieci anni di carcere. Tortora accetta di candidarsi al Parlamento europeo nelle liste radicali; viene eletto; rinuncia all’immunità parlamentare, si consegna, arresti domiciliari. In appello la sentenza è completamente rovesciata: assoluzione piena. La Cassazione conferma.
Giornalista professionista, attualmente lavora in RAI. Dirige il giornale telematico «Notizie Radicali», è iscritto al Partito Radicale dal 1972, è stato componente del Comitato Nazionale, della Direzione, della Segreteria Nazionale.
 
L’ingiusta carcerazione ha comunque minato irrimediabilmente il suo fisico; un calvario che finisce il 18 maggio 1988, quando viene stroncato da un tumore. Come e perché sia potuto nascere questo caso: sullo sfondo c’è la mancata ricostruzione dopo il terremoto dell’Irpinia: migliaia di miliardi di vecchie lire, circa ottantamila, letteralmente spartiti tra camorra, politici corrotti e imprenditori; e c’è la trattativa condotta clandestinamente dallo Stato con la camorra per risolvere il caso dell’assessore campano Ciro Cirillo, sequestrato dalle Brigate Rosse di Giovanni Senzani. Non è una fantasia giornalistica. E’ la denuncia, anni fa, della Direzione Antimafia di Salerno: contro Tortora erano stati utilizzati pentiti a orologeria; appunto per distogliere l’attenzione della pubblica opinione dal gran verminaio della ricostruzione del caso Cirillo.

Marco Pannella ricorda: “Quando Enzo Tortora diceva: mi hanno fatto esplodere dentro una bomba, e l’ha detto anche pubblicamente, intendeva dire che il tumore che gli era scoppiato dentro era il frutto della lacerazione dello strazio di immagine, di informazione e di identità, del massacro di verità di ogni giorno da parte dell’ordine giudiziario e di quello giornalistico costantemente, ebbene lui ha detto una verità che oggi la scienza assolutamente convalida. Il giorno in cui, come sta accadendo in questo momento a noi, si tenta di straziare l’identità, l’immagine, si tenta il genocidio politico e culturale di un movimento o del diritto in Italia, ebbene: questi ormai non possono più dire di non sapere che la scienza assicura che Enzo aveva ragione: era assassinato”.

Marco, il calvario di Tortora è servito a qualcosa? “La parola definitiva non si potrà mai dire. Noi vincemmo con un referendum, che chiamammo referendum Tortora, quel referendum di civiltà per dare, conferire al magistrato il diritto alla sua responsabilità civile. A non essere al di sopra, e quindi al di sotto, delle leggi. Gli italiani allora ci dettero ragione; poi ci fu il tradimento del Governo, del Parlamento e dei partiti per i quali da allora non è più esistito un solo caso di responsabilità civile di magistrati in Italia acclarati, e puniti, sanzionati…”.

Oltre alle accuse di Pandico e Barra, quando Tortora venne arrestato, non c’era nulla. Non è stato pedinato per accertare se era davvero uno spacciatore o un camorrista, per prenderlo con le mani nel sacco; nessuna intercettazione; nessuna verifica sui numeri di telefono trovati su agende di camorristi, si sarebbe scoperto che corrispondevano non a Tortora ma a uno che si chiamava Tortona, bastava fare il numero, come fece la difesa; l’accusa di essersi appropriato di fondi destinati ai terremotati dell’Irpinia, era falsa, il “Corriere della Sera” venne condannato per averla pubblicata; nessuno dei magistrati che si è occupato di questa vicenda ha pagato per quello che è accaduto. Hanno anzi fatto carriera: chi è diventato procuratore capo, chi è stato nominato alla direzione distrettuale antimafia della Campania, chi è finito al Consiglio Superiore della Magistratura. Tra i giornalisti che hanno scritto e pubblicato, senza darsi pena di fare una semplice verifica, pochissimi quelli che hanno chiesto scusa.
 
Tortora ha voluto essere sepolto con una copia della “Storia della colonna infame”, di Alessandro Manzoni. Sulla sua tomba un’epigrafe, dettata da Leonardo Sciascia: “Che non sia un’illusione”.

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