Lunedì 21 marzo 2011
Articolo di Venanzio Malavasi
Tratto da:
http://www.giustiziagiusta.info
http://www.giustiziagiusta.info
------------------------------------------------------------------------------------------------
Quest’anno non ricorre solo il 150° anniversario dell’unità d’Italia, ma anche il trentesimo anniversario dall’eliminazione dal codice Rocco, ad opera della Corte Constituzionale (C. Cost. 8/6/1981 n. 96), della “norma abnorme” che puniva il reato di plagio.
L'articolo 603 del codice penale era fortemente voluto da Alfredo Rocco, Ministro guardasigilli del governo Mussolini. Per inserire nel codice questa nuova fattispecie di reato, allora unica al mondo e senza precedenti in venti secoli di storia del diritto, il ministro non aveva tenuto in alcun conto il voto contrario della Commissione Parlamentare competente, né le opinioni contrarie delle commissioni reali degli avvocati e procuratori che si erano pronunciati al riguardo.
Inserire nel codice la norma che puniva il plagio era imperativo, come la reintroduzione della pena di morte.
La direzione autoritario imposta da Alfredo Rocco al processo di codificazione allora in corso, l’impostazione giuridico economica che ha dato al nazionalismo, fini per costituire una componente essenziale del regime autoritario fascista.
Era, allora come ora, una necessità ideologica introdurre una figura di reato che punisse chi convinceva altri con le proprie idee, magari di libertà. Come scrisse l’avvocato Mellini (che ebbe gran parte del merito nell’eliminazione di questo reato dal codice) in un articolo di qualche anno fa su questo stesso argomento, “viviamo in un paese in cui antiche vicende di criminalizzazione di interi gruppi o categorie di persone sembra si riflettano in una prorompente fantasia nell’invenzione di nuovi reati associativi, la voglia di reato plagio si manifesta e si propone in relazione alla esistenza di gruppi, categorie, fedi religiose, ‘sette’”.
Questo era vero nell’Italia fascista di Alfredo Rocco ed è la base ideologica del “nuovo plagio”, ribattezzato “manipolazione mentale” che ripropongono oggi.
Dichiarandone l’illegittimità costituzionale, la Consulta, aveva ampiamente descritto come questa norma fosse avulsa da ogni codice di tutti i paesi civili e di tutti i tempi, riferendo anche come la sua approvazione fosse stata quanto meno controversa. In seguito venne sarcasticamente definita una "fattispecie penale apparente".
L’uso ideologico del reato di plagio
Molti ricordano il plagio in relazione al “processo Braibanti”. L’unico che in cinquant’anni di plagio si è concluso con una condanna, essenzialmente perché il rapporto omosessuale (ovviamente contrastato e denunciato dai genitori dell’amico di Braibanti) fu considerato come condizione e strumento di plagio.
Processo ideologico e sentenza di condanna ideologica dell’italietta omofobica di quel tempo, resi possibili perché esisteva il reato di plagio, ora illegittimo.
Ma pochi ricordano che la Corte Consituzionale non dichiarò l'illegittimità costituzionale dell'art. 603 c.p. in relazione al caso Braibanti.
Infatti la sentenza della consulta enunciò l'illegittimità del plagio intervenendo sul caso del sacerdote cattolico Don Emilio Grasso, fondatore della Comunità Redemptor Hominis, accusato da alcuni genitori di aver plagiato i loro figli.
Anche quello era un processo ideologico, frutto dell’intolleranza esacerbata dai conflitti famigliari causati da una scelta di vita dei figli che non era gradita dai genitori denunciati.
Don Grasso, al contrario di Braibanti, ha potuto salvarsi da una condanna per plagio, grazie alla pronuncia della Consulta e dirige ancora la sua comunità carismatica. Almeno finché qualche erede ideologico del guardasigilli Rocco non riuscirà a far approvare una legge sulla manipolazione mentale/plagio. Ma se accadrà sarà in buona compagnia a preoccuparsi per la propria libertà.
Rocco e i suoi fratelli
Decenni di leggi “fascistissime”, una guerra mondiale, le sofferte conquiste liberali, sessant’anni di lotte sociali e civili, non hanno insegnato nulla.
Alcuni degli odierni legislatori, cogliendo l’eredità di Alfredo Rocco, insistono che il plagio dev’essere reintrodotto, ad allungare la lista delle "fattispecie penali apparenti" quali, ad esempio, la circonvenzione di incapace.
Ma cos’era il plagio del codice Rocco e cosa stanno proponendo i suoi eredi oggigiorno?
L’articolo 603 del codice Rocco recitava: “Chiunque sottopone una persona al proprio potere, in modo di ridurla in totale stato di soggezione, è punito con la reclusione da cinque a quindici anni".
Cosa dice invece il testo del Disegno di legge n. 569, rpimi firmatario Antonino Caruso, che chiede l’introduzione dell’articolo 613bis? Testualmente: “Chiunque, mediante tecniche di condizionamento della personalità o di suggestione praticate con mezzi materiali o psicologici, pone taluno in uno stato di soggezione continuativa tale da escludere o da limitare grandemente la libertà di autodeterminazione è punito con la reclusione da due a sei anni”.
Hanno aggiunto qualche parola in più rispetto al dettato del precedente articolo, ma la sostanza è la stessa, identica: “qualcuno assoggetta qualcun altro al suo potere, suggestionandolo, e viene punito per questo”.
Eppure i magistrati della Consulta avevano già obiettato che "non si conoscono né sono accertabili i modi con i quali si può effettuare l'azione psichica del plagio né come è raggiungibile il totale stato di soggezione che qualifica questo reato".
"L'indeterminatezza della norma" richiamata nella sentenza della Consulta, non era ritenuta tale per questioni semantiche. La norma era (è lo quella che viene proposta oggi) indeterminata perché non vi erano (e non vi sono ora) "criteri sicuri per separare e qualificare" la persuasione dalla suggestione, né è "possibile graduare e accertare in modo concreto fino a qual punto l'attività psichica del soggetto esternante idee e concetti possa impedire ad altri il libero esercizio della propria volontà".
Aggiungere l'avverbio "grandemente" (molto, assai), in riferimento alla limitazione della libertà di autodeterminazione, non porta maggior chiarezza alla definizione del risultato.
Quanto grandemente dev'essere limitata la libertà di autodeterminazione per divenire reato? E come si valuta e si misura l'esclusione o la diminuzione dell'autodeterminazione? E chi lo fa?
Gli odierni legislatori rincarano la dose aggiungendo un comma che prevede una maggiorazione della pena per coloro che promuovono e praticano la manipolazione mentale/plagio come parte di un gruppo organizzato: “Se il fatto è commesso nell’ambito di un gruppo che promuove o pratica attività finalizzate a creare o sfruttare la dipendenza psicologica o fisica delle persone che vi partecipano, ovvero se il colpevole ha agito al fine di commettere un reato, le pene di cui al primo comma sono aumentate da un terzo alla metà”.
Ecco il reato associativo, un vero 416 tris applicato ai presunti abusi psichici. A quando il concorso esterno?
Badate bene, non sono puniti solo coloro che praticano queste presunte attività di abusi psicologici, ma anche coloro che le “promuovono”. Chi limita maggiormente la libertà, coloro che praticano la manipolazione mentale o chi propone una legge siffatta?
Nel 2001, prima del disegno di legge n. 569, a distanza di 75 anni dalla nascita della creatura di Alfredo Rocco, il senatore di Alleanza Nazionale Mariano Delogu aveva già presentato un disegno di legge identico (DDL n. 800 S.) e aveva ottenuto l'approvazione della Commissione Giustizia del Senato, ma fu fermato dal termine della legislatura.
Nella sua presentazione del testo di legge proposto, Meduri partiva da lontano sfruttando l’onda emotiva dell’11 settembre (era il 6 novembre 2001), nel dire che dai “recenti atti terroristici compiuti negli Stati Uniti d’America, dovremmo trarre motivo di riflessione profonda sulle «ragioni» che possono spingere un essere umano a diventare un «kamikaze»”. Ma poi non approdava a nulla di nostrano e non diceva perché nel nostro paese dovremmo introdurre una fattispecie di reato utile a punire i manipolatori dei kamikaze.
Ma, precisa: “riteniamo che sarebbe opportuno attribuire maggiore valenza alla perizia psichiatrica che, oltre a comportare un primo livello di indagine volto a definire le caratteristiche di personalità della supposta vittima, al fine di dedurne in astratto la sottoposizione a meccanismi plagiari, dovrebbe articolarsi in un successivo livello di indagine, volto ad analizzare il rapporto personale tra supposto autore e supposta vittima”.
In breve, suggeriva una figura di reato applicabile sulla base di una deduzione “in astratto dei meccanismi plagiari” svolta da uno psichiatra, e poi un’analisi psichiatrica del “rapporto personale tra supposto autore e supposta vittima”.
In sostanza, aggirava il problema sollevato dalla Consulta sulla possibile eccessiva arbitrarietà del giudice nel decide sul plagio/manipolazione mentale, delegando la decisione ad un consulente tecnico del Tribunale. Non risolveva l’arbitrarietà potenziale, la spostava esautorando i giudici.
Ignorava un dettaglio che non può essere tralasciato, già annotato dalla Consulta nella sentenza del 1981, quando scriveva che non sono “ammesse nel nostro ordinamento perizie sulle qualità psichiche indipendenti da cause patologiche”.
Pochi anni dopo, nel 2008, ecco un altro ex di Alleanza Nazionale, il senatore Antonino Caruso, raccoglieva l'eredità del ministro Rocco, ripresentando lo stesso testo di Meduri come disegno di legge n. 569.
Anche lui citava nella presentazione gli atti di terrorismo dei kamikaze, che si presume siamo stato indotti alla violenza da manipolatori mentali ma, a differenza di Meduri, citava gli omicidi delle bestie di satana e varie notizie giornalistiche su altri incidenti non meglio specificati.
Non notava però il paradosso che egli stesso descriveva: “Il caso italiano, che ha colpito il territorio della provincia di Varese e che è stato solo pochi anni fa sgominato dalla magistratura e dalle autorità di polizia, per il quale è stato celebrato un processo che ha potuto concludersi con gravi condanne”. Ergo, anche senza il plagio la giustizia ha potuto stabilire le responsabilità e comminare pene severe ai colpevoli. E non avrebbe certo prevenuto i delitti compiuti se il plagio fosse esistito nel codice, visto che la tragedia di Varese è venuta alla luce solo quando i cadaveri sono stati scoperti.
Per il resto, a parte riferimenti a generiche notizie mediatiche riferite peraltro con varie formule dubitative, il senatore Caruso non adduceva alcun vero motivo per cui il piagio, o manipolazione mentale, dovrebbe essere introdotto nel codice penale.
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------
Fine I parte.
La II parte verrà pubblicata sul numero di giovedì 24 marzo
Nessun commento:
Posta un commento