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venerdì 10 luglio 2009

Affrontare il "lato oscuro" delle sette (Audio integrale)




Ginevra, 3 Luglio 2009


Affrontare il "lato oscuro" delle sette:
bilancio di un'esperienza decennale



Relazione di Raffaella Di Marzio
Società Italiana di Psicologia della Religione.


Presentata al Congresso Internazionale promosso da ICSA, INFO-CULT e ONAP tenutosi a GINEVRA, 2-4 Luglio 2009.



REGISTRAZIONE AUDIO INTEGRALE (36')




LEGGI IL TESTO DELLA RELAZIONE




4 commenti:

Giuliano ha detto...

Sono stupito. Finalmente una voce del "mondo anti-sette" che non grida "Setta! Setta!" ma che espone chiaramente e con logica un nuovo approccio teso alla ricomposizione dei dissidi anziché all'esacerbazione dei conflitti.
Non credo che il "fenomeno settario" sia un semplicistico quadro composto da brutti sporchi e cattivi da un lato e da innocenti anime candide dall'altra. Nel rapporto tra "setta" e "vittima" entrano in gioco una molteplicità di dinamiche, aspettative e situazioni che rendono necessario un approccio al problema più articolato ed equilibrato rispetto a quello fin qui praticato dalle associazioni di aiuto italiane.
A mi avviso questa relazione presenta una condivisibile disamina della situazione e propone nuovi e coraggiosi percorsi di aiuto.

Raffaella Di Marzio ha detto...

Caro Giuliano,

ti ringrazio. In realtà questa relazione è frutto di una lunga e ultradecennale riflessione fatta prima di tutto su me stessa e sulle mie azioni e solo in seguito sull'operato altrui. La consapevolezza di aver sbagliato molte volte in assoluta buona fede mi ha spinta a rivedere le mie posizioni, almeno in parte, e a ricercare una metodologia più "umana" per affrontare questi problemi che sia fondata su etica e ragione.
Molte cose nella relazione non sono dette perchè non c'era tempo sufficiente, ma credo che il libro che uscirà sarà molto più completo e chiaro su diversi punti sui quali ho dovuto sorvolare.

cosimo ha detto...

Come dicevo già altrove, quando si parla di sette (o presunte tali) spesso sembra non considerarsi la differenza tra “colpa” e “dolo”, cioè il caso che il comportamento di un gruppo settario (o presunto tale) possa avere risvolti negativi ma non intenzioni negative. Considerare questa ipotesi – oltre che essere segno di civiltà umana e giuridica - avrebbe due importanti conseguenze.

1. Riporterebbe le diverse questioni criminali e comportamentali nei rispettivi diversi ambiti di competenza (giuridico e sociologico/psicologico): ai tribunale valutare se ci sia o meno reato e – se sì – se ci sia colpa o dolo; allo psicologo/sociologo valutare le ragioni delle scelte di chi entra in una setta e le modalità di comportamento della setta stessa. Non serve uno psicologo per occuparsi di truffa e fa un cattivo servizio al cliente, al tribunale e alla propria categoria lo psicologo che si mette a fare il criminologo confondendo i due piani. Suo compito dovrebbe invece essere la comprensione dei motivi e delle dinamiche che portano un individuo a cercare la setta e che portano il gruppo a strutturarsi e ad agire come setta, magari partendo da intuizioni o intenzioni non criminali.

2. Conseguenza immediata è che ciò concentrerebbe l’attenzione psicologo/sociologo sull’aiuto delle persone e non sul giudicarle. Se c’è una setta (o anche se non c’è ma ci sono sofferenze legate al gruppo) c’è un grande bisogno di aiuto, nella forma dell’ascolto e della ricomposizione: eventuali reati vanno invece segnalati e affidati alla magistratura. Tale aiuto andrebbe esercitato certamente per i fuoriusciti, ma anche se non soprattutto per quelli che restano dentro nonché per il gruppo stesso nel suo complesso, esistendo la concreta possibilità che un gruppo si sia avvitato inconsapevolmente in dolorose o quantomeno sterili modalità settarie. Un esplicito invito al dialogo su “possibili problemi nel gruppo” e al confronto con gli ex membri rivolto al gruppo stesso da associazioni di ascolto aiuterebbe anche a chiarire da subito se siamo di fronte: a) a gruppi innoqui con ex membri esaltati; b) a gruppi con modalità potenzialmente critiche; c) a vere e proprie sette, pericolose ma non criminali; d) a gruppi criminali che sfruttano la copertura della setta.

Viceversa ciò cui si assiste è una incomprensibile distinzione "buoni - cattivi": buono è il membro di una setta (o di una presunta setta) fuoriuscito e critico, cattivo è il membro non fuoriuscito o non critico. Non c’è la possibilità che una persona cerchi nella setta la risposta a domande esistenziali autentiche, al di là del fatto che la setta (o presunta tale) possa essere il luogo adatto ove cercarle. Detto altrimenti, per chi non rinnega la setta c’è nel migliore dei casi la tolleranza che si ha per i peccatori, nella speranza che prima o poi si ravveda. Non c’è alcun riconoscimento della dignità umana del soggetto e delle sue idee. E rispetto alla setta non viene concepita la possibilità che evolva: essa deve essere semplcimente cancellata.

Laddove sussista questa modalità – e sembra sussistere spesso – non stupisce che questa si applichi anche alle stesse relazioni tra studiosi e associazioni antisette, dove il dibattito non è più su cosa e setta ma sul come si sia antisette e sul quanto lo si sia, fino a che chi non è con me è contro di me, fino a creare schieramenti ideologici tra puristi dell’antisette e apostati, dove ciascuno schieramento si sclerotizza e si difende dietro i propri studiosi e le proprie teorie di riferimento, nella completa incapacità di apprendere nuove teorie, di sperimentare sul campo, in definitiva di evolvere.

Sarebbe già un bel salto se tali gruppi riuscissero a definirsi, a percepirsi e ad essere percepiti non come “associazioni antisette”, ma come “gruppi di aiuto” o meglio ancora come “gruppi di ascolto”.

Raffaella Di Marzio ha detto...

Ti ringrazio, Cosimo, per le tue riflessioni che ovviamente mi trovano pienamente d'accordo.

Speriamo che le persone in buona fede raccolgano qualche spunto di riflessione e conincino a modificare certe prassi che si rivelano dannose per tutti.

Raffaella